Scampia – Terra di speranza

Partire, andare. Dove non lo so. O almeno, non lo sapevo.
Nel mese di Febbraio viene proposto un campo di lavoro, un nuovo servizio per noi giovani. Il senso è “uscire” dagli schemi, “uscire” dai propri spazi, aggiornare i nostri punti di vista.
Il gruppo GOG della Parrocchia di San Gabriele dell’Addolorata ha detto un chiaro SI a questa proposta: campo di “Libera – associazioni, nomi e numeri contro le mafie”.
Ma dove andare? Ci vuole tempo, dobbiamo aspettare, devono decidere.
Il campo si farà a Scampia, estrema periferia di Napoli. E’ l’emblema di uno dei quartieri più degradati e problematici della città. Di una città che a Roma, si sa, non è delle più amate.
Paura, ansia, terrore. O meglio, la paura che si trasforma in ansia che porterà al terrore. Al terrore di non tornare mai più.
Scampia, nella mia tortuosa testa, era semplicemente un posto di non ritorno, un posto da cui scappare. Devo trovare una scusa, una scusa valida per non venire. Una scusa valida per cambiare posto in cui andare.
Non voglio perdere un campo, non voglio perdere momenti di crescita interiore, non voglio rimanere indietro, non voglio essere fermo e vedere che intorno a me c’è chi cresce in relazioni, in affetto, in amore.
Queste esperienze rimangono nel cuore per una vita.
Non posso perderle.
E’ l’inizio di un viaggio interiore, di un travaglio che arriva fino al 18 agosto.
Durante questo viaggio vengo a conoscenza del problema della Terra dei Fuochi. Mi informo, paura. Inizia su Sky la serie “Gomorra” diretta da Roberto Saviano. La guardo, paura. Muore un ragazzo di Scampia, a Roma. Ciro Esposito è stato ucciso da un romanista. I media  ci parlano di “caccia al romano”. Paura. Cerco notizie del bene confiscato a Chiaiano, dove presteremo servizio. Trovo una foto con due fosse e una croce. Terrore.
Dove credo di andare? Perché affrontare un qualcosa di così immensamente grande per me? Tutto mi spinge a rimanere a casa.
A rimanere al sicuro, ad essere protetto. “Qui non succede niente” continuo a ripetere nella mia mente. Ma maturo che se “qui non succede niente” non ha senso che io viva. Il mondo si muove, è in continua dinamicità, è in continua sofferenza. Sofferenza che, forse, sta aspettando proprio te che stai meglio, sta aspettando te a cui va tutto bene, per credere in una speranza.
“Se non sei nato nelle Vele è solo un caso”, è la citazione con cui Ciro Corona, responsabile del campo Libera a Scampia, il 23 agosto ha messo una firma nel mio viaggio interiore.
Allora si, si avvicina una partenza. Mi confronto con le persone più care, mi confronto con chi ha meno ansie e con chi ne ha di più. Prendo forza da chiunque. E mi convinco ironicamente che se morissi, almeno morirei con le persone più care accanto a me.
 
18 Agosto 2014 – E’ arrivato il momento.
Pregiudizi, stereotipi e solite ansie accalcate in un angolo del cervello e lasciate lì, aspettando che passino. Aspettando che i fantasmi svaniscano, ancora una volta. Aspettando che la forza dell’Amore faccia il suo gioco e sia in grado di abbattere ogni ostacolo, ancora una volta. Mi affido a Dio e alle persone che mi ha messo accanto.
Il campo inizia, sono lì. Sembra incredibile essere parte di qualcosa di così grande. Io, 16 fratelli e altri 48 ragazzi, e forse l’intera Italia, che combatte contro le mafie, era presente in quel piccolo angolo di mondo. Proprio lì, davanti la cucina del fondo rustico confiscato “Lamberti – Selva Lacandona”. Grandi, piccoli, carcerati, bambini, sacerdoti, adolescenti, anziani, indifferenti e attivisti, atei e cattolici. Tutti lì per accrescere una nuova speranza, un nuovo concetto di legalità e di coraggio. Facciamo parte di un cambiamento così forte da non poter rendercene conto subito.
La prima testimonianza di Ciro Corona della prima notte di Chiaiano è stata una doccia gelata, più di quelle che avremo fatto nei giorni successivi nei bagni costruiti negli ex uffici della Camorra. Niente di nuovo, ma tutto ha un altro senso. Si crede in ciò che si trova al di là delle minacce, al di là della paura, al di là della morte. Tutto si orienta nel credere in qualcosa che va “ al di là dei sogni”: nome della cooperativa sociale di Simmaco Perillo.
Simmaco Perillo è un uomo che ha fatto emozionare e ridere per due ore consecutive. Brividi e lacrime al sol pensiero. Un uomo come tanti che ha creduto semplicemente nella sua battaglia investendoci cuore, anima, cervello. Un uomo come tanti che non volendo si trova a combattere contro la mafia, contro il clan dei casalesi. Ma qui a Chiaiano, ho imparato che nessuno si ferma, nessuno si ferma davanti a niente perché:
“REGA’, SE PO’ FA”.
Uniti contro il male, si può fare tutto.
Noi, alcune volte, crediamo impossibile cose che semplicemente non abbiamo mai visto. Per Simmaco queste sono più concrete che mai.
Ci racconta della storia di Alberto Varone, vittima della mafia ucciso a Sessa Aurunca .
Ci racconta di un ragazzo, spastico e sordo, considerato dalla medicina “socialmente pericoloso”. Ragazzo ingestibile che nel tempo è divenuto socio della cooperativa “perché la pietra scartata dal costruttore è divenuta testata d’angolo”.
 
Passano i giorni. La mattina sveglia presto dopo la notte passata tra umidità e terra,  e si lavora. Studenti si improvvisano contadini.
C’è chi cucina per 70 persone, chi raccoglie PESCHE, chi scarta PESCHE, chi incesta PESCHE che arriveranno direttamente al mercato di Napoli, chi cura l’orto, e chi semplicemente non fa niente. Ma è presente.
PESCHE dappertutto. E’ la frutta per eccellenza per sei giorni consecutivi. Colazione e pranzo e merenda e cena.
Il tutto accompagnato da sei giorni di pasta e sei giorni di fritti. Ma tutto ciò poco importa, si combatte per qualcosa di estremamente più grande della nostra obesità e del nostro disgusto per le pesche.
La consapevolezza di un lavoro costruttivo, se pur faticoso, è sempre più incisiva. Si entra nella vita di persone che fino a quei giorni erano completamente sconosciute. La sera, stanchi, si chiacchiera, si gioca a biliardino, o si fa Messa, o si va al bagno (chi più chi meno), si balla la tammurriata e Mr Jack. E ogni tanto nelle nostre orecchie risuona un familiare “Ma che state a fa?”.
Passano quattro giorni tra lavoro e testimonianze, ghettizzati nei 14 ettari del fondo Amato Lamberti gestito dall’associazione (R)esistenza. Vengono il Questore di Napoli, Guido Marino;  Pietro Ioia, un uomo con 22 anni di carcere alle spalle; Carlo Verdone (cit.), un tale dotato di una straordinaria oratoria con un libretto rosso in mano (“dove ero arrivato..?”) che ha tentato di spiegarci il mistero dell’agenda rossa scomparsa di Borsellino; Ivo Poggiani ed Egidio Giordano che ci hanno introdotto nel discorso delle ecomafie.
Quattro giorni di crescita e di chiacchiere, aspettando Venerdì 22 agosto per toccare con mano e vedere con i nostri occhi un abbandono istituzionale di 33 anni e percepire come la Camorra ha approfittato di questo totale isolamento dalla civiltà.
Si va a Scampia.
Anzi no, cambio di programma improvviso. Si va a Teano.
Siamo il primo gruppo, le prime persone a mettere piede in un nuovo bene confiscato alla camorra. Si raccolgono insieme ceste e ceste di noccioline che probabilmente saranno, questo inverno, nel “Pacco alla Camorra” dell’ NCO (Nuovo Commercio Organizzato). Nome scelto per contrastare l’acronimo con cui Raffaele Cutolo battezzò la Nuova Camorra Organizzata negli anni ’70.
Il CAMBIAMENTO è in atto.
Ed ora davvero, è il momento. Si va tra le Vele.
Ciro ci prepara al peggio. Carmine, il vero unico contadino del fondo, ci guida in un viaggio indimenticabile tra le vie di Napoli sopra un carro di trasporto frutta. Quaranta persone sopra un unico carro. Pure questo, a Napoli,  “se po’ fa”.
Siamo tra le vie di Scampia. Inneggiano i ricordi di Ciro Esposito, inneggia una voglia di rivalsa, e inneggia un degrado poco immaginabile. Stiamo attenti a non calpestare le siringhe che normalmente troviamo tra i nostri passi. Entriamo nella scuola dove dormono gli altri 48 ragazzi che partecipano al campo. In quella scuola, pochi anni prima, centinaia di ragazzi come loro, come noi, si drogavano cercando di scappare da una realtà che non avevano scelto. Che si sono ritrovati a vivere.
E’ un altro mondo.
La camorra aveva allestito le aule in modo tale da suddividere i tossicodipendenti in base alle sostanze che volevano assumere, e aveva fatto di quel loco uno dei più grandi centri di spaccio di Europa.
Scritte e disegni sui muri, vetri rotti, polveri, puzza e sangue. Tutto ciò che abbiamo visto doveva assomigliare ad un paradiso rispetto a ciò che era stato solo cinque o sei anni fa.
Usciamo, andiamo tra le Vele, tra i 7 palazzi (ora 4) costruiti dopo il terremoto campano del 1980. Mi sembra di essere in Gomorra. Ma non ci sono spari, ci sono bambini che giocano come tutti gli altri bambini di questo mondo in un semplice campetto, con la stessa palla con cui giocano i plurimilionari del calcio. Forse inseguono un sogno. Lo stesso sogno che farei io se abitassi lì: fuggire e trovare un mondo migliore.
Rifiuti, sporcizia, vetri rotti, sangue, puzza, tubi spaccati, escrementi,  donne affacciate dal balcone a chiedersi cosa ci facevamo lì noi, con una macchina fotografica. Vedo una scritta sul muro “Mondo ti odio”. Vedo un bambolotto su un letto di rifiuti. Vedo un ragazzo, forse della mia stessa età, bucarsi a tre metri da me.
Dove sono? Dove siamo? Qual è il senso di tutto questo? Perché a loro? Dio perché hai permesso che il male dell’uomo creasse tutto questo?
Esco da Scampia, vedo Valentina piangere e un senso di sconforto tra tutti noi. Ci allontaniamo di pochi metri, le vele già sono scomparse. Quell’angolo di abbandono italiano non lo vedremo più, ma esiste ancora.
Ripenso alle paure dei giorni lontani. Ai fantasmi inutili che hanno soppresso i miei pensieri.
Scampia è un luogo in ricostruzione e colmo di speranza, non di paura. La paura è dentro coloro che non fanno niente per cambiare qualcosa. “Soffierà sulle Vele e le gonfierà di Te” continuo a canticchiare nella mia testa.
 
Torno a Roma, sperando di essere con voi ”una formica che disse “dunque”, e cominciò a pisciare nell’oceano”.
Esperienza colma di significato.
E ringrazio uno ad uno chi mi ha accompagnato nell’oltrepassare quei limiti e andare Al DI LA’, a partire da Don Antonio, Tiziana, Amedeo e Federica  continuando con Valentina, Silvia, Francesco, Emanuele, Giulia, Oriana, Sabrina, Erica, Silvia, Riccardo, Michele, Simone, Melania.
E Federico, Daniele, Gloria e Luca F., sperando che questo “racconto” vi faccia un po’ entrare in ciò che abbiamo provato questa settimana.
DAJE!
 
L.S.
 
Interviste: FANPAGE
 
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