E POI UN GIORNO… QUEL ROVETO…

Un fratello non più fratello, un padre non più padre… il cuore dilaniato, negli occhi la ricerca di un senso impossibile. E allora un grido, poi la resa e una verità che si svela piano piano. Non sono più io.

Chi ero prima? E chi sono adesso? E perché quel fuoco? Perché quella voce? Perché proprio io?

Come spiegare la strada che da mia madre, alle acque del Nilo, a mio fratello creduto tale, a quel fratello non creduto, a una sorella dimenticata, a un coltello tra le mani, a un pozzo e a una moglie, poi mi porta fino a Te e di nuovo incontro al mio passato?

Non voglio Signore, non posso, non mi crederanno, non posso farcela…

“Ho osservato la miseria del mio popolo… ho udito il suo grido… conosco le sue sofferenze… sono sceso per liberarlo…”

E allora un popolo, il mio, diventa Tuo…

Questo è quello che succede a ogni replica, quando un gruppo di ragazzi, sapientemente guidati, decide di mettere in scena la ricerca di un’identità che coinvolge tutti.

E l’interpretazione di chi sceglie di rischiare vestendo i panni di un altro, fa la differenza. Cosa avrà pensato Mosè mentre la vita gli cambiava davanti? E Ramses, i sacerdoti, Aronne, Ietro? Il gioco del teatro scopre le sue carte e le persone diventano immedesimazione, si sciolgono sotto i nostri occhi, si confondono con i personaggi e portano, attraverso emozioni e intuizioni personali, la verità di una Parola senza tempo.

E allora in Aronne, la sofferenza di uno schiavo senza dignità, la sensibilità di un fratello non riconosciuto, ma non per questo rassegnato, l’attenzione e il rispetto pieno di paura, l’incomprensione di tanta durezza, il bisogno e la passione di mantenere al sicuro chi ancora non sa, schermando i colpi di una violenza senza spiegazione… l’abbraccio, il sostegno e l’abbandono, la cura di una sorella tenace e determinata, indifesa e quasi sfrontata nel gridare una verità che non riesce a emergere…

E allora il disprezzo e la chiusura nei consigli sibilanti e senza verità dei sacerdoti del Faraone, perfidi e spietati, fermi e impotenti nella loro rigida mediocrità, mentre il tempo sgretola certezze e regala loro la fragilità di un potere che vede crollare la sua stella. Burattini senza spessore a servizio dei capricci di chi comanda, caricature di se stessi, resi irresistibilmente ridicoli e nello stesso tempo autentici, da un’interpretazione da manuale, nei gesti maniacali, le risatine isteriche, gli sguardi provocatori, le sfide continue, nella prepotenza che irride e affonda chi non si dimostra più forte di loro.

E ancora Ietro in quello spaccato di vita quotidiana portato nella contemporaneità, che strizza l’occhio al pubblico “chiedendo comprensione”, nella sua ironica “situazione devastante”, affogato da mille preoccupazioni, cerca una sponda di complicità, sorprende e travolge Mosè legandolo a una donna libera e fiera, intensa e tormentata, che non abbassa mai lo sguardo, comprende e accompagna fino in fondo.

E poi Ramses, testardo e indifferente, abbagliato dal potere, nel cuore umiliato una voglia di rivalsa. L’affetto e la condanna per quel compagno di giochi perduto, incapace di capire, incapace di vedere, in grado solo di urlare a quel fratello non più fratello. E nei muscoli contratti, l’anima che trema, il viso trasformato e sulla pelle un grido, il fiume della rabbia, il dolore che spezza, mentre la morte passa a consegnare il suo prezzo.

E ancora Mosè, uomo in crisi da non saper più a cosa credere, passare in poco tempo dalla piccolezza di un padre grande alla grandezza di un Padre invisibile, la fatica di una ferita sempre aperta, nel corpo quella lotta di chi strisciando, si tiene ancora in piedi. La verità, la ribellione, il bisogno di uccidere, la voglia di fuggire. E in quel roveto guardarsi dentro, scoprirsi a pezzi, ma ancora intero. Chi sono davvero? Quella domanda non risolta, dal tempo in cui giocava con Ramses a fare il principe d’Egitto, al giorno in cui, con un bastone in mano, libererà il suo popolo. E la certezza e la paura di non essere solo. E in quello sguardo, incredulo e smarrito, in quel trascinarsi e in quel sorprendersi, nelle lotte laceranti che squassano il cuore, nel sorriso accogliente, nelle parole incerte, una doppia immedesimazione, un’empatia che accende, entra dentro tutti. In quegli occhi, in quel dolore di ragazzo e di uomo, in quel cambiamento, vibra il cambiamento di tutti noi, inseriti in quella storia.

E in tutti, la lucida consapevolezza che questo è condividere davvero, mettere in gioco parole e sentimenti, spezzare il tempo in un traguardo da raggiungere, costruire una strada che porti i nostri passi a dare risposte a problemi apparentemente senza soluzione, tirar fuori da ogni pozzo, a volte profondo e oscuro, il tanto che c’è. Non aver paura di mostrare un cuore che batte, un cuore ferito, un cuore in cerca di comprensione.

Non è una cosa impossibile, insieme possiamo farlo.

E la parola diventa azione, mentre da lontano, Enrica e don Antonio, guardano sorridendo.

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